sabato

ESO TERME: AGENTE+ DEVE STARCI DENTRO



Il Doctore mi ha prescritto un ciclo di terme a Lidosauria Marittima per curare un fastidioso mal di schiena e ora la mia velomobile scivola lenta sull'asfalto verso il Piccolo Oceano, il traffico è assente. Ai lati della strada scorrono cartelloni pubblicitari che raffigurano ragazze hot che si spruzzano l'acqua addosso sugli scivoli di un acquapark, studentesse in vacanza stese sui lettini a sorseggiare drink alla moda. Tipe in tanga che giocano a beachvolley. Ragazzi palestrati che surfano, atleti con i pettorali lucidi di olio, modelli che indossano occhiali aggressivi e sexy. Una lunga carrellata di pacchi sporgenti dai bermuda e di tette lustre di sole, di cosce e chiappe angosciosamente desiderabili.




Arrivo a Lidosauria in pochi miliardi di millisecondi: è completamente deserta. Ha l’aspetto esausto di tutti i luoghi di villeggiatura a fine stagione. Saracinesche chiuse, spiagge smobilitate, cumuli di sabbia eretti dai cowdozer contro l’erosione. Ed ecco le Terme. Edifici bassi e bianchi dipinti a strisce azzurre, costruiti sulla spiaggia al limitare della pineta primordiale. Parcheggio, ammaino il sartiame della velomobile, prendo il mio zaino e cammino nel vento gelido di Agostembre. Un sentiero introduce all’ingresso a porte scorrevoli e, dopo un attimo di, entro. L’aria calda e odorosa mi stordisce mentre vago nella foschia più assoluta, cercando il bancone della reception. L’atmosfera bagna i vestiti come una nuvola densa a bassa quota, e tra le volute di vapore intuisco l’entrata ai bagni sulfurei, ai lavaggi nasali o al magmagym. La visibilità è ridotta al minimo e spesso urto delle ombre confuse che mi mandano affanculo. Strisciando lungo le pareti trovo, per puro caso, il banco dell'accettazione. L'addetta è una macchia sfocata nella nebbia che dice: “Documenti, grazie”




I miei incartamenti firmati scompaiono nella cortina perlacea, sento il fruscio di carte e poi lo spigolo duro di un tesserino mi graffia la mano. La voce della receptionist, che non sembra provenire da un luogo preciso, sta dicendo:
“Questo lo deve passare nel lettore a codice Morse che c’è nello spogliatoio, che emetterà una striscia cartacea da conservare e consegnare ai terapisti”.
Non posso vedere il suo volto, ma il tono si fa minaccioso: “Indossi sempre l’accappatoio e non entri mai, mai, per nessun motivo nella sala terme sprovvisto di sgamo. Anche uno sgamo piccolo va bene, uno sgamo dell’anno scorso, come le pare. OK? Se entra senza sgamo, lo fa a suo rischio e pericolo, noi decliniamo ogni responsabilità. Lo sgamo lo può comprare qui in comode rate, oppure se ce l’ha già con sé, vada dritto e troverà gli spogliatoi”




Fottiti stronza, penso. A tentoni trovo la porta degli spogliatoi che si apre rivelando un muro di vapore ancor più impenetrabile e lattiginoso. Le goccioline d’acqua mi pesano sulla fronte, sulle sopracciglia e colano verso il collo come torrenti. Mentre cerco il lettore a codice Morse, mi accorgo di tremare leggermente, nonostante la temperatura bollente. Il silenzio è rotto solo da fruscii indistinti, brevi suoni che non riesco a distinguere. Sento il vapore premermi addosso e scivolare via, risucchiato da spostamenti d’aria improvvisi che mi fluiscono intorno. Vorrei proprio sapere che diavolo è uno sgamo, perchè ora credo di averne un disperato bisogno.


Agente +, ore 15:10