domenica

DAL DIARIO DI F: DONNA DELLE PULIZIE ALLA RESIDENZA OSMOSI


Lunercoledì 3 Gennarzo 1981




Trovo del vomito nei vasi dei fiori, il bagno è sempre chiuso a chiave e i posaceneri sono stracolmi, ma il grosso dei mozziconi è sul pavimento, l’odore velenoso di cicche impesta tutta la casa. Quando passo l’aspirapolvere, Philip K. Dick prende appunti su un taccuino nero poi torna a sedersi vicino alla radio che trasmette scariche e ronzii. È una specie di comunista e, ora che ha smesso di calarsi gli acidi, parla spesso con un dio spaziale.
Prendo uno smacchiatore potente, uno strofinaccio e cancello gli scarabocchi che
Jean-Michel Basquiat fa sui muri e sulle porte. A volte c’è anche il suo amico Keith Haring ma oggi no, sarà troppo impegnato a farsi inculare nei cessi della metro, comunque il negro samoano è al piano di sopra a implorare William S. Bourroghs di smollargli altri due grani di ero. Il vecchio tossico, oltretutto frocio, batte i tasti della macchina da scrivere foderata di lattice e lo minaccia con una pistola difettosa comprata in Messico.
Raccolgo i batuffoli imbevuti di morfina che torvo in giro e li metto in un grosso barattolo che lascio in frigorifero, e loro me ne sono grati.
Porto delle lenzuola pulite a
Don DeLillo, un signore elegante e silenzioso, con i capelli bianchi e di sicuro impotente. Fissa un piccolo televisore con un filmato di sé stesso che guarda un filmato di sé stesso che tiene un reading in teleconferenza in una sala congressi vuota.
Quando scendo in soggiorno, raduno le bottiglie di vodka vuote in un angolo, vicino ai resti bruciati di qualche libro:
“Sulla strada” di Jack Kerouac, “Neve di primavera” di Yukio Mishima e “Le parole” di J. P. Sartre. Charles H. Bukowski reclama altra birra e quando gli porgo una confezione da sei, mi chiede se posso alzarmi la gonna solo per cinque secondi. Lui è osceno e in mutande, biascica qualcosa di incomprensibile e poi sprofonda nella potrona, urlando a Bret Easton Ellis di abbassare quel maledetto televisore, ma il volume è già muto. Il ragazzo californiano ci guarda, i suoi occhi sono invisibili dietro i Ray-Ban scuri. Annuisce lievemente quando David Hockney gli sussurra che sa dove procurarsi dell’ottima coca boliviana, devono solo fare una telefonata, poi andare ai margini del deserto, verso sud, e aspettare...


Quelli del P - O, ore 10:23




mercoledì

L'UGENTE + NON E' AL MOMENTO IRRAGGIUNGIBILE

 
 
È notte fonda e l’apparecchio Ai Fonico inizia a squillare implacabile e minaccioso nel buio siderale della mia stanza. Sono rallentato e ancora quasi incosciente mentre mi avvicino la cornetta all’orecchio. Dico: “pronto” con la bocca impastata. Scariche, crepitii metallici poi una voce femminile, fioca e sconosciuta, che parla veloce.

-... di nuovo quel sogno. Sono in un sottomarino nucleare della Marina USA, le paratie sono soffici cedevoli al tatto, hanno il colore e la consistenza della pelle umana. Se mi avvicinassi abbastanza, potrei vedere anche peli, nei, cicatrici o altri segni particolari di qualcuno che non ho amato abbastanza. Nella sala controllo, sul tavolo della plancia, il comandante sta facendo sesso con una tipa mora e riccia. Lui sembra Autore però ha il volto un po’ in ombra sotto la visiera dell’uniforme ufficiale, i pantaloni calati alle caviglie. Lei non la conosco, ma so che è una cantante famosa. Si muovono in sincronia con la cavitazione dell’elica, un rombo ritmico che attraversa tutto lo scafo come un respiro inaudito. Il loro sudore cola sotto le chiappe e la schiena della ragazza, stingendo le mappe oceanografiche stese sul tavolo e rendendo irriconoscibili i continenti, i prospetti del fondale marino. A quel punto corro via. Lungo i corridoi, intravedo gli uomini dell’equipaggio: applaudono al mio passaggio gridando frasi di approvazione e incitamento. Continuo a correre fino alla sala macchine e mi chiudo dentro sentendomi vibrare di euforia. Poi il sogno diventa confuso e accelerato. Urlo in una lingua sconosciuta e scandisco ogni respiro prendendo a martellate il nocciolo del reattore nucleare. A quel punto mi sveglio, le gambe e le braccia gelide, la gola arsa ma io non...
 
La linea cade improvvisamente e rimango nell’oscurità. Immobile, esausto. Il segnale dell’apparecchio Ai Fonico dà libero, un suono monotono e lugubre come quello di un rapace intrappolato in una ciminiera.



Agente + 00:00, Dinosauria Rem