Vado a prendere un pacchetto di nicotina dal vecchio del bazar ambulante. Scelgo il solito pacchetto da trenta che baratto con un disegno Pre - Odierno e rientro alla Galleria Osmosi.
L’ingresso terziario è incorniciato da due iperpalme enormi e rassicuranti, che introducono a un enorme cubo di cartone a porte scorrevoli. Oltre quelle, l’aria incondizionata mi aggredisce come una frustata melliflua. Lo sbalzo di temperatura mi circonda di aria densa, una vampata di gelo che mi appiccica la maglia con il logo dei Simmetrix alla pelle. Vado verso l’ombra dell’enorme cupola di vetro e paglia grigia, come una capanna fuori di testa, e mi lascio cadere su un divano di cemento.
Ho ancora un’minutora prima che inizi l’allestimento delle opere ipnoriche e irotiche di Martin Spismisk, e voglio rilassarmi il più possibile. Do brevi boccate alla sigaretta, ma perlopiù la lascio bruciare a vuoto tra le dita. Il fumo sale faticosamente spezzandosi in volute grigie.
Dalla mia posizione vedo benissimo il palazzo in cui non abito, che svetta come una prua angolosa e aggressiva, tratteggiata dai monobalconi. Prima di adesso, qualche Writer senza scrupoli, ha fatto un murales delicato quanto un pestaggio con guanti di seta, che mi riempie di kuore di.
La sigaretta è quasi finita, come la mia pausa. Spengo il mozzicone, mi scrollo un po’ di cenere dai pantaloni e salgo fino al semisterrato.
Anche se sono in perfetto orario Slaudia, la maître della Galleria Osmosi - Sezione B, mi dice di sbrigarmi. Indossa pantaloni neri attillati, una camicetta nera con le spalline gonfie di nero e un colletto nero strettissimo, una spilletta nera con un fiore laccato nero. Stringe tra le mani nervose una cartelletta di plastica nera e lucida e fogli di carta copiativa nera con appuntati le dimensioni delle opere e lunghe addizioni senza senso che incide sui fogli con le unghie smaltate di nero. Porta come al solito sandali neri con il tacco altissimo e un po’ volgare. Il suo viso è scopabile, truccato con gusto, ma questo non fa che risaltare i suoi occhi neri-nero. Stringe le labbra dipinte di rossetto nero in un eterno disappunto. Vorrei afferrarla per le spalle e scuoterla urlando: «Slaudia, svegliati! Qui non siamo al MoMA di New York! Siamo alla Galleria Osmosi a Dinosauria Est!»
Invece Slaudia, con la sua voce bassa e convincente, mi dice di iniziare dalle micro-opere del periodo Misconsciuto del Maestro. Non sorride e questo è un buon segno, perché quando lo fa è solo per appioppare cazziatoni o esigere impegno e ante-attualità extra.
Allestisco in fretta, con gesti misurati e precisi come quelli di un rituale. Slaudia ispeziona il risultato con sguardi lenti, passeggiando per la Galleria B. Mi fa sudare un mucchio per spostare due installazioni della madonna, in modo da creare “un angolo un po’ più carino”.
A mezzoggi e venti i primi visitatori inauguriamo la mostra: “Mai una gioia” Martin Spismisk - Galleria Osmosi, Sezione B. Anziani signori e vegliarde si trascinano ansimanti all’assalto del rinfresco. Poi arrivano gruppi formati da quattro o cinquemila adulti circondati da mandrie di bambini, e lasciano scie di luridume che dopo dovrò pulire.
Dopo un quarzo d’ora arrivano gli adolescenti, teenager annoiati e insofferenti: i ragazzi somigliano tutti a Morlon Brondo. Le ragazze hanno i capelli strani, indossano Y-Shirt, shorts trasparenti e occhiali da soja. Si aggrappano ai flute colmi di vinodka del buffet iniziano a tracannare.
Una bionda minorenne si avvicina. La immagino sul bordo di una piscina satura di cloro mentre i riflessi mobili dell’acqua le sfiorano il viso, illuminandola dal basso.
La tipa mi chiede con una voce melodiosa e un po’ fatale:
-Questa è Arte?
Io annuisco, guardandola avidamente.
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