La festa di pensionamento del direttore di Combustione Spontanea Fottuta si terrà questo lunercoledì, in una sorta di agriturismo adagiato sulle colline boscose di Dinosauria. Le foto sulla brochure che circola in ufficio, rivelano una struttura di acciaio e carta, un pratico parcheggio.
Alcuni colleghi hanno in mente di mettersi in mostra con un discorso scritto da loro, altri raccolgono soldi per il regalo -un tagliaaria d’oro-, altri ancora studiano con cura il look da sfoggiare alla festa e, approfittando del rimescolamento dei dirigenti, salire la scala gerarchica con del sesso occasionale.
Io desidero solo squarciarmi le vene con quel futuro tagliaaria e imbrattare di sangue gli articoli e le bozze che ingombrano la mia scrivania. Per quanto mi riguarda, l’attuale direttore è un coglione pazzesco e il suo successore non può essere da meno. Nonostante questo, decido di andare lo stesso, pensando a pochi ma validi motivi: le donne della redazione saranno truccate, tutte in tiro e ci sarà servita dell’ottima vinodka di produzione locale (la brochure è molto chiara su questo punto). Mi segno nel foglio appeso in bacheca e caccio a malincuore gli idrodollari per la colletta.
Riesco a scroccare un passaggio a Di Gugliemo, un collega che abita nel Distretto Acquifero. Acconsente con un verso simile a un grugnito catarroso.
Lunercoledì mattina, Di Gugliemo mi è passato a prendere prima di adesso e da allora guida cupo e scoglionato. Io invece mi sento OK-KO: ieri sera ho letto qualche capitolo di “Neurochirurgo sbronzo”. Di Gugliemo non lo ha letto, e non sembra intenzionato a farlo, nonostante la mia recensione cautamente euforica. I miei propositi di conversazione si sono arenati dieci chilogrammetri fa, perciò armeggio con la radio finchè trovo una heavy rotation delle Hit di Mono e le Cosce. Cerco di rilassarmi guardando fuori dal finestrino. Arbusti secchi, guardrail ammaccati e reti anti-frane, poco oltre si ammonticchiano declivi ghiaiosi e colline scure mangiucchiate dall’erosione, tralicci, case e fattorie abbandonate su cui cola una luce gialla e smorta. L’abitacolo non offre di meglio. Interni antrancite e muffosi, cruscotto cosparso di briciole fossilizzate. La fronte di Di Gugliemo, leggermente velata di sudore, luccica in modo sinistro.
Intanto sento il boma scricchiolare, mentre Di Gugliemo cambia rapporto al sartiame, straorzando in modo barbaro e inetto. La Velomobile scatta in avanti verso una curva, un tornante, poi ancora altre curve che costeggiano un burrone e il mio stomaco si strozza in un conato. Immagino lo schizzo di vomito che inonda il parabrezza, i frammenti coagulati della mia colazione semidigerita che finiscono in faccia a Di Gugliemo, il suo urlo convulso e disgustato mentre perde il controllo, la Velomobile che sfonda le protezioni stradali e precipita nel vuoto.
La nausea mi passa quando vedo Di Gugliemo riscuotersi un po’ e raddrizzare le spalle ingobbite. Alza i mignoli senza staccare le mani dal timone e dice:
-Arrivati.
Siamo i primi. Questo particolare mi sembra particolarmente desolante guardandomi intorno nel parcheggio vuoto, così scendo dalla Velomobile senza troppe cerimonie. Dopo l’atmosfera opprimente dell’abitacolo è un’ulteriore agonia respirare aria calda, nonostante un vento lievissimo che non scompiglia nemmeno i capelli. Di Gugliemo sbatte la portiera stiracchiandosi la schiena e facendo versi non identificabili. Gli offro una sigaretta in segno di solidarietà ma lui rifiuta, a dire il vero non so neppure se fuma e non me frega un granché, così me la accendo io.
In quel momento, dalla salita che porta nell’agriturismo, spuntano due Velomobili suonando il clacson all’impazzata, facendo il giro dello spiazzo a velocità massima. Inchiodano sgommando vicino a noi. Sulla fiancata hanno il logo della Galleria Osmosi. E’ arrivato Autore, con il resto della P - O Krew.
Agente +, ore 17:11
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